Archivi del mese: marzo 2011

Buio di fretta

Buio. Buio che è notte.
Una ragazza che dorme. Io!
Buio leggero, in punta di piedi. La sua mano su di me.
Uffa, ma chi è?
Buio gentile e discreto. Sveglia! è il suo messaggio.
Sì, sì, ho capito: ora mi alzo.
Buio di fretta.
Resta ancora un po’.
Non posso.
Buio ancora per poco. Buio che è già mattina.
E poi profumo di lenzuola pulite, delle salviettine struccanti che ho usato ieri e con cui ho impregnato il cuscino, dei miei morbidi capelli all’olio di semi di lino.
Eccomi!
Stendo una gamba nella parte fredda del letto lasciando l’altra in una plastica ed elegante posizione fetale (e non per fare la splendida, ma perché stirando la prima mi si è accavallato un nervo nello stinco che mi sta facendo un male boia.) Occhi ancora chiusi (in verità, leggermente strizzati dal dolore.) Nessun rumore attorno (se si eccettuano naturalmente i miei mugolii soffocati sotto le coperte.)
Sì, ora mi alzo.

Uno di quei giorni

Oggi è uno di quei giorni che stai lì a chiederti perché e una risposta, una vera, non ce l’hai.
E’ uno di quei giorni che non si sa mai.
Uno di quei giorni, come dire… quelli strani, sai?
Tanto strani che quasi quasi lascio il discorso a metà, tanto ormai
Non c’ho più voglia di stare lì a cercare un’altra rima con –ai.

Attesa

Pochi minuti ancora.
Mi accingo ad appostarmi nel punto che ho stabilito. Da lì potrò vederlo uscire senza essere vista.
Perfetto.
Ancora qualche passo e poi…
“Ahhhaaaaaaa!”
Riempio le mie narici di aria per riavermi un attimo dallo shock. Intercetto in lontananza i due gatti che mi hanno appena tagliato la strada, cercando di capire nel frattempo, se il mio urletto stridulo possa aver allertato qualcuno. Ma non mi pare di scorgere tracce di umana presenza.
Molto bene.
Torno quindi ad occuparmi della mia vita sentimentale non potendo fare a meno di roteare le mie innamorate pupille verso il cielo che, mi rendo conto solo adesso, è completamente nascosto da un terrificante damasco di nuvole temporalesche. Oltretutto, mi cingo in un abbraccio, che temperatura polare questa sera!
Ma non mi interessa.
In un gesto involontario però, mi ritrovo ad osservare le mie mani. Ma sì… dopotutto il viola mi dona. E poi, a guardarla bene, questa nuance un po’ livida ma terribilmente di moda fa pendant con la mia sciarpa color glicine.
“Ciao, Fernanda! A domani.”
Una voce femminile e dei passi spezzano la catena dei miei pensieri quando ancora non ho raggiunto la mia postazione.
“Oh, Vittorina. Ciao. Non ti avevo vista… Finito?”
Mentre la mia collega saltella gli ultimi gradini prima di guadagnare l’area parcheggio, mi rendo conto che i suoi occhi inquisitori dentro i miei sono un’inaudita ed insopportabile violazione della privacy.
Che si sia già sparsa la notizia della mia ridicola cotta adolescenziale?
Nel dubbio, le restituisco un’occhiata truce soffiando un po’ dal naso. Il mio chiaro intento è quello di metterle paura e Vittorina, in genere viscida e appiccicosa come la bava di una lumaca, va subito via rinunciando ad inutili spargimenti di sangue.
Di nuovo sola, mi affretto per nascondermi.
Ma quanto mancherà ormai alla fine della lezione? Di solito, è puntuale.
Le mie dita tremano in un modo indecoroso. E i denti… la smettessero di fare tutto ‘sto baccano.
Il mio cuore invece è una grancassa ad una festa di paese.
Tutt’a un tratto avverto dei rumori. Forse ci siamo.
Questi ultimi attimi sono un vortice che mi risucchia nell’incoscienza. Provo a restare lucida. Mi concentro su una foglia umidiccia che fluttua in cielo disegnando ampie curve sospinta dal vento.
Un attimo dopo ce l’ho lì, sfracellata sulla guancia.
Che schifo.
La afferro infastidita. La scaglio più lontano che posso…
Dritta come una freccia sul suo paltò.

Tre buoni propositi per la giornata

  1. Capire come funziona wordpress.
  2. Capire cosa c’è di sbagliato in me che non capisco come funziona wordpress.
  3. Fare finta di capire come funziona wordpress, se fallisco nei primi due punti.

Faccende canticchiate

Sì, stirare,
evitando le curve più dure, senza per questo cadere nelle mie paure, gentilmente molto fumo con amore.
Dolcemente stirare,
rallentando per poi accelerare, con un ritmo fluente di vita nel cuore, dolcemente senza strappi al maglione…

Silenzio

Ah! Doccia. Doccia battente, bollente, ubbidiente, cascante.
E acqua. Acqua, vapore, rumore, fragore, senza parole. Perché sotto l’acqua nessuno ti sente. E poi, anche quando, non si capirebbe niente.
Perciò silenzio.
Di acqua che scorre.
……..
………..
…………..
……………
………………….
E di me che penso all’acqua che scorre in silenzio.
Perché è solo questo a cui voglio pensare.
……..
………..
…………..
……………

…………………..


Bonjour finesse!

Carlo Sperti si piegò soddisfatto sul buco del water per osservare ciò che non faceva più parte di lui. Luca stava bussando quando una nube maleodorante ascese compatta dalla tazza. Arrivò con violenza, gli si intasò completamente dentro le narici. Carlo inspirò senza paura, accogliendola dentro di sé, la prova della sua virilità.
“Esci, pa’! Ancora dentro stai?”
Carlo non rispose. Sembrò non sentirlo nemmeno. Stava pensando a quel leccaculo di Gancio. A come fargliela pagare. E buttò giù uno sputò.
Uscendo dal bagno, puntò la credenza di fronte. Vi lanciò senza cura le pagine di cronaca sportiva che lo avevano ispirato fino a qualche momento prima e che atterrarono sullo spigolo.
“Angela!”, ruggì dirigendosi in camera da letto, quel terribile puzzo acido a pedinarlo ancora lungo il corridoio.
La sua voce si aggiunse a quella di Sandro e Luca che in cucina litigavano per la Play. E a quella di nonna Adelaide che strillava per farli smettere. E a quella di Samantha al telefono con Francesca.
“Angelaaa!”
“Che c’è?”
Carlo tirò su col naso senza risponderle. Ché tanto la chiamava solo per il piacere di farlo.
“Il cesso è libero”, grugnì superando la cucina.
Mentre camminava senza sollevare i piedi da terra, teneva le gambe aperte e le ginocchia rivolte verso l’esterno, la stessa andatura molleggiata e scocciata che aveva suo padre. Giunto sulla porta, si fermò. Con entrambe le mani, si stirò l’elastico bianco dei boxer più in su che poté e il girovita appesantito sembrò essergliene grato.
“Questo lo fai dopo”, ingiunse poi alla moglie intenta a riassettare il letto. Il suo corpo, trentottenne solo all’anagrafe, si sbilanciò un poco all’indietro, per riprendere fiato. “Mi devo preparare. Vammi a prendere i vestiti, va, che è tardi!”, e accompagnò le parole con un movimento ondulatorio della mano.
Angela annuì, lasciando perdere subito la svolta delle lenzuola. Estrasse dei jeans e una polo blu da un cassetto del comò, l’aria a profumare tutt’a un tratto di fresco pulito, e li porse a suo marito. Poi scivolò silenziosa dalla parte opposta della camera e prese a schiaffeggiare un guanciale. Quello, tra un ceffone e l’altro, rimaneva sospeso a mezz’aria, come delle parole in attesa di un soffio.
Ogni tanto stringeva i pugni, Angela. Per non urlare.

Cosa ho nella testa

Ho scoperto che quando mi metto in testa qualcosa, se non mi dimentico, lo faccio.

Il posto in cui vivo

A parte il fatto che ci vivo io, il posto in cui vivo è proprio un bel posto per viverci.
Non parlerò di uccellini che cinguettano al mattino, di chiesette incastonate nel bosco, di viali alberati e balconi fioriti. Ché nel posto in cui vivo io queste cose non ci sono mica.
Per cui forse dovrei parlare di smog, ladri di villette e scarafaggi mutanti che salgono su dal lavandino. E non ci siamo ancora.
E allora di cosa parlare?
Che è un posto come un altro, ci sono le case, le scuole, le chiese, i negozi. Che ci sono le file al comune, al semaforo, alla posta, da Gino il macellaio. Che ci sono gli anziani, le donne, gli uomini, i bambini, i rompicoglioni.
Ma allora, che pizza! Il posto in cui vivo io, se la mettiamo così, chissà a quanti altri posti del mondo assomiglia.
Se solo non fosse…
che IO vivo in questo!

Singolar tenzone

“E quindi?” Di nuovo lei, quella vocina isterica e petulante.
“E quindi, cosa?”
“Lo sai.”
“Lo so, cosa?”
“Lo sai!”
“No, che non lo so.”
“Sì, invece.”
“No, ti dico.”
“E va bene, allora. Fai pure finta di non capire. Lo sai che tanto da me non puoi scappare.”
“Ma ti pare che ora…”
Mi blocco. Mi sento sufficientemente idiota per smetterla con questo assurdo braccio di ferro tra me e… me.
“Non se ne accorgerà nessuno. Saremo io e te. Te lo prometto: nessuno si fermerà a leggere questo blog.”
“Ma che senso ha? Non ti basto io?”
“Sei noiosa.”
“Non sempre.”
“Frustrante.”
“Non esagerare, adesso.”
E poi sei permalosa, non ti si può dire niente.”
“Non è vero.”
Sbuffo, esausta.
“E va bene, forse un pochino.”
“Tranquilla, non cambierà niente.”
“Non ci credo.”
“Nessuno mai potrai  rubarti l’esclusiva.”
“Mmm!”
“E’ così!”
“Così come?”
“Che sarai sempre tu a sapere per prima le cose.”
Comincio a ridere.
Ormai non la sento più.