La lezione è finita

Il Gresta richiuse il volume con il solito gesto reverenziale. Era ancora seduto e silenzioso quando Cesare preannunciò che stava per entrare in trance, quel pissicopatico. Il ragazzo soffocò una risata e fece segno a Giuliano e Viola di non perdersi lo spettacolo.
In quel momento, il Gresta si alzò. Stringeva ancora il volume tra le mani. Lentamente lo mostrò al suo pubblico, poi se lo schiacciò sul petto e le sue pupille cominciarono a roteare girando a vuoto per un po’.
“Ohmmm”, gli fece il verso qualcuno dalle file più alte.
Giuliano cominciava seriamente a non poterne più di quella farsa. Gli dava la nausea quel ridicolo rituale.
Spazientito, sbirciò l’ora sul polso di Viola. Mancava poco ormai e la sua amica sembrò rendersene conto all’improvviso. Nel massimo silenzio, raccolse celere le sue cose. Mise via il cellulare, preparò le chiavi. Sembrava assente e distratta. Giuliano si accorse di non averle sentito uscire neanche una parola di bocca, durante la lezione.
Alle diciassette in punto, esplose una scarica di schiamazzi dal corridoio.
«Evvai!», festeggiò Cesare.
Tutto contrito, il Gresta interruppe una litania incomprensibile. Sembrò risvegliarsi da un lungo sonno. Non si accorse neanche che l’uscita si era già trasformata in una trappola a forma di imbuto quando, con una smorfia di dolore che gli sfregiò i lineamenti, annunciò che la lezione era finita, amen.
“Che dici, Giulià?”, fece Cesare, indicando il professore, e la mano destra impegnata in un tipico gesto scaramantico maschile.
L’amico lo guardò interrogativo.
“Non pare che gli muore qualcuno, ogni volta? A me mi pare tutto scemo, questo”.
Giuliano rise tra sé, senza riuscire a spiegarsi che ci facesse un tipo come Cesare in quell’ambiente.
Era tipico di Giuliano Sesti starsene in disparte a giudicare gli altri. Appollaiato sui gradoni, le ginocchia piegate all’altezza del mento, anche in quella occasione, dall’alto scrutava tutto e tutti e, ogni tanto, il labbro gli si distendeva a muto commento di qualcosa.

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